La riforma del processo civile che da sabato prossimo entrerà in vigore prevede di accelerare l’iter dei processi civili, la cui lentezza pone l’Italia al 153° posto su 181, nella graduatoria del rapporto “Doing Business 2009” della Banca Mondiale, dei paesi ove è più profittevole investire. (Vicepresidente del Consiglio Nazionale Forense Avv. Ubaldo Perfetti).
L’opinione dell’avvocatura sulla riforma definita “mini” in quanto priva di respiro innovatore ampio e profondo, poiché tocca solo alcuni aspetti, emerge anche per mezzo del Consiglio nazionale forense, che con il suo presidente Guido Alpa, ha più volte manifestato le perplessità in merito.
Non sono previsti, ad esempio, meccanismi che, come invece accade per la difesa, inducano i giudici a rispettare i termini e a velocizzare la loro attività.
Le modifiche apportate alle competenze dei giudici di pace, ampliando il valore laddove per le cause relative a beni mobili e rapporti obbligatori si passa da euro 2.582,28 a euro 5 mila e per quelle di risarcimento del danno da circolazione stradale si passa da euro 15.493,71 a euro 20 mila e, aggiunta la competenza per materia per le cause relative agli interessi, o accessori, da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali non faranno altro che rallentare l’ormai improbo lavoro dei giudici di pace che, come noto svolgono la loro attività sotto organico da lungo tempo e senza dubbio troveranno numerose difficoltà a fronteggiare una novità del genere.
Si tratta di circa 2.900 giudici sui 4.690 previsti in organico, costretti in alcune realtà a operare con ridotto personale ausiliario (come anche riferito dal Coordinatore dei giudici di pace di Milano Dott. Vito Dattolico “abbiamo il 20 per cento del personale in meno”) e su cui grava, in aggiunta, anche la competenza per le sanzioni amministrative largamente usata dai cittadini.
Sono comprensibili le manifestazioni di disagio e le proteste degli interessati.
A queste si aggiungono oggi quelle dei giudici e dei vice procuratori onorari che scontano una condizione di precarietà e disagio.
Svolgono, infatti, un’attività essenziale per il funzionamento della macchina della giustizia che altrimenti si bloccherebbe, ma non hanno presidi previdenziali e assistenziali, ferie pagate, prospettive di pensione.
Peraltro, poiché provengono prevalentemente dall’avvocatura, sono il segno tangibile dell’insostituibile apporto supplente della classe forense alla soluzione dei mali della giustizia che purtroppo si crede di risolvere intervenendo solo sul processo (abbreviando termini e comminando decadenze, per il solo avvocato, peraltro) senza capire che in questo modo si incide sul diritto, mortificandolo e non ponendolo al servizio del cittadino che richiede e pretenderebbe di ottenere giustizia in tempi rapidi.