L’Unione Nazionale Giudici di Pace ha presentato un ricorso al Tar del Lazio per l’annullamento e l’immediata sospensione del Regolamento che vuole introdurre la mediazione e conciliazione obbligatoria dal prossimo marzo del corrente anno.
L’UNAGIPA ha da sempre richiesto alle forze politiche di potenziare e promuovere lo strumento della conciliazione volontaria e non contenziosa dinanzi al Giudice di Pace (articolo 322 c.p.c.), quale forma alternativa al giudizio, per una più civile, efficace e rapida composizione delle controversie.
Per tale ragione, l’Unione ha criticato l’applicazione del contributo unificato anche alle procedure conciliative non contenziose (art. 322 c.p.c.), provvedimento che ha scoraggiato, a partire dal 2005, il ricorso alla conciliazione davanti al gdp.
Al contrario, L’Unione si è sempre opposta alla conciliazione obbligatoria, quale ingannevole strumento finalizzato a limitare il diritto inviolabile dei cittadini alla tutela giurisdizionale e, contemporaneamente, ad arricchire improvvisati organismi privati, inidonei a garantire professionalità e competenze specifiche.
Nel ricorso al TAR si contestano plurime violazioni da parte sia del Governo che del Ministro della Giustizia di precetti imperativi di rango costituzionale (lesione del diritto di difesa e del diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, eccesso di delega, violazione del principio di ragionevolezza e della riserva di legge sulle prestazioni personali – vedasi i costi monetari che dovranno sostenere i cittadini in sede conciliativa, addirittura superiori al costo di un intero processo!).
Altresì grave è la mancata individuazione dei requisiti di specifica professionalità che dovranno possedere i soggetti chiamati allo svolgimento della funzione conciliativa, aperta a persone in possesso di un qualsiasi titolo di studio, anzichè essere riservata agli esercenti la professione forense (avvocati) e giudiziaria (giudici di pace, magistrati in pensione).
Particolarmente grave è che i giudici di pace, la cui funzione conciliativa è stata indicata dal legislatore del 1991 come fondamentale e caratterizzante, siano stati arbitrariamente esclusi dal Ministro dai costituendi organismi di conciliazione.
La formulazione, da parte del mediatore, della “proposta di conciliazione” e la sua accettazione o meno, da parte dei cittadini (peraltro privi di assistenza legale), influenzano inderogabilmente l’esito del processo (in sede di valutazione sulle spese, in sede di omologazione a fini esecutivi, etc…), caratterizzandosi come veri e propri atti paragiurisdizionali, in quanto tali riservati all’autorità giudiziaria ovvero ad organismi ad essa assimilabili (i Consigli degli Ordini degli Avvocati).
Sono, vieppiù, richieste al mediatore valutazioni di stretto diritto (non contrarietà all’ordine pubblico o a norme imperative), che necessitano di una preparazione giuridica elevata e risultano inaccessibili ai nominandi mediatori.
In questa ottica l’affidamento della mediazione a soggetti diversi dagli avvocati e dai giudici di pace costituisce un atto irresponsabile del Ministro, di certo non recuperabile con improvvisati corsi di formazione, parimenti mal regolamentati.
Il Presidente Nazionale Il Segretario Generale
( Gabriele Longo) (Alberto Rossi)